L’ex voce dei Nomadi torna sulle scene con un nuovo progetto discografico. Venerdì 10 aprile esce il suo nuovo album, “La Festa” (etichetta Aereostella), anticipato dai due singoli “Atlantide” e “Follia”. «Ho voluto mettere a nudo le mie fragilità, le mie domande e i dubbi di una vita intensa, vissuta fin da subito per le strade, nei cortili delle chiese e dei bar».
Cristiano Turato è un artista nell’anima. Si capisce da come ti accoglie, dalle riflessioni che espone, dalle parole che utilizza, e anche dall’entusiasmo con cui parla di quello che scrive e della vita, da celebrare con questo nuovo disco.
Se non fosse abbastanza chiaro, lo sottolinea lui stesso. Quando gli chiedo com’è per un artista pubblicare un album come “La Festa” in questo periodo, con i negozi chiusi che impongono di rivolgersi quasi esclusivamente al nuovo mercato dello streaming, un mercato non facile per tutti, mi risponde:
«Hai scelto la parola artista ed è nel suo significato che trovo la risposta alla tua domanda. Un artista è un essere umano che vive, sente e parla con l’arte e non si accorge di altro se non dell’amore che ha di fronte a sé. Se non è così non si può definire artista.
Il resto lo lascia a chi di arte non vive: “i manager” della discografia. Produrre arte è sempre un’opportunità per la tua vita e per quella degli altri».
Una risposta rara, soprattutto di questi tempi.
Scritto e prodotto dallo stesso Cristiano Turato insieme a Alberto Roveroni e Francesco Pisana (che vanta collaborazioni con artisti importanti come Lucio Dalla, Fiorella Mannoia, Dolcenera, Elio e le Storie tese), “La Festa” è composto da dieci brani inediti, in cui il cantautore rivive i momenti più importanti della sua vita analizzando le scelte compiute nel corso degli anni, senza rinnegare nulla.
Ho avuto l’occasione di scambiare qualche parola con lui, alla vigilia della pubblicazione del disco.
Innanzitutto, come stai? Mi auguro che quest’emergenza sanitaria non ti stia toccando a livello personale e familiare.
Va tutto bene e viviamo questo periodo cercando di coglierne i lati positivi. Restiamo a casa ma senza mettere in quarantena il nostro pensare.
Il tuo percorso artistico è lungo e variegato al suo interno. “La Festa” lo vedi come un disco della maturità, quasi antologico, attraverso il quale fai i conti con tutto quello che hai vissuto? Oppure è più semplicemente un nuovo capitolo della tua vita?
È un nuovo capitolo, la continuazione di un percorso. È la voglia di ristabilire le distanze con me stesso, troppo spesso disturbate da un mondo che non riconosco più e che non mi appartiene.
Dal 2012 al 2017 sei stato la voce dei Nomadi, probabilmente il tuo ruolo più identificativo a livello nazionalpopolare. Cosa ha rappresentato quest’esperienza per te?
Ha rappresentato dei passi verso questo nuovo lavoro.
E ti infastidisce un po’ che tu venga spesso identificato solo come “l’ex cantante dei Nomadi” da quelli che ti conoscono poco? Ritieni che sia riduttivo per il tuo percorso artistico?
Non mi infastidisce affatto, d’altronde fa parte della mia vita!
Però sono anche quello di Madaleine, band di rock elettronico, nome di una ex prostituta conosciuta in un’esperienza a Rimini alla Papa Giovanni xxiii dell’allora Don Benzi.
Sono quello de Ivideo, duo elettro-pop con un disco uscito nel marzo del 2016 e da ascoltare.
Sono quello che è partito a lavorare in studio di registrazione, saldando cavi e bruciandosi le dita per settimane, passando poi giovanissimo al lavoro di arrangiatore e assistente di studio.
Sono molto altro, ma basti questo a capire che qualcosa non va nella nostra società, se continuamente si cerca di costruire delle categorie in cui mettere qualcuno o qualcosa.
“Atlantide” – il primo singolo estratto dal tuo nuovo album – è stato un successo in Sud America, al punto da essere certificato disco d’oro in Brasile. Ti aspettavi un riscontro simile? L’hai cercato o è venuto quasi per caso?
“Atlantide” è la vita stessa che percorre ogni fibra del nostro corpo. Fuori dal nostro paese probabilmente c’è più vita e vivono semplicemente questa energia assaporandone l’essenza tutti i giorni: un po’ come il sud del nostro bellissimo paese, l’Italia. Sud criticato per le sue imperfezioni, ma quanto a vitalità può insegnare a noi nordisti che la vita è un’altra cosa. Per questo il Brasile e non solo, pur cantando in italiano, ha capito “Atlantide”: nuova vita, nuovo modo di pensare, nuova terra da custodire.
“Follia” invece è un brano struggente, in cui descrivi immagini davvero intense. In particolare mi hanno colpito molto: «Il dolore è il cibo più commestibile. L’amore è irraggiungibile» e «L’amore è il cibo più indispensabile. A volte è insopportabile». Da dove nascono queste parole?
È il racconto in poesia di una donna che ammiro da sempre: mia suocera. C’è chi tenta di ucciderla in qualche barzelletta, io ho cercato di dipingerla nelle sue tante sfumature. Una donna che riesce a trasformare il dolore e il sacrificio come mai ho visto in vita mia, è un esempio per me.
Presentando “La Festa” hai detto: «Ho voluto cercare semplicemente di ridipingere l’Italia, svestendola delle proprie certezze, trovando qualche spunto ironico appeso ancora a vecchie pose, frantumatesi nel corso della storia».
Ora che stiamo attraversando un’emergenza sanitaria senza precedenti (almeno per le generazioni contemporanee) credi che si stiano svelando nuovi tratti della nostra società a cui non avevi pensato nella scrittura dell’album?
L’immagine al momento è quella dello zoo al rovescio, fa quasi sorridere. “La Festa” è la manifestazione di una società che non esiste più ma che può imparare molto da questo periodo. Abbiamo un’opportunità senza precedenti, cioè quella di azzerare tutto per tutti, cercando questa volta di essere più attenti a ciò che sta dentro di noi piuttosto che ad agghindare le nostre scatole destinate comunque ad una fine, ricordiamolo.
Immagino quanto tu stia bramando il tuo tour, che però rischia di dover aspettare ed essere rimandato. C’è tanta incertezza. Come la stai vivendo?
Sto vivendo tutto con molta serenità, aspetteremo che il momento passi e poi torneremo nuovamente a far rimbalzare di note le piazze.
Ci salutiamo con questo augurio, proferito mentre il suo sguardo ammira i campi davanti casa, a Vigodarzere, nel padovano. Li definisce «piccoli paradisi colorati dalla primavera». Sempre poetico. E ora godiamoci la sua festa!
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