Cristallo, nome d’arte di Francesca Pizzo, è una cantautrice che vive a Bologna. Il 22 maggio è uscito il suo ultimo singolo, “Casa di vetro”, in rotazione radiofonica dal 5 giugno.
Il brano, firmato Blackcandy Produzioni come i precedenti, segue “Cosa c’è” e “Falena”, pubblicati nella seconda metà del 2019, e anticipa l’album, in uscita nei prossimi mesi.
Ascoltalo al seguente link:
Distanza, immaginazione e intimità: “Casa di vetro” racchiude tutto questo. Il nuovo brano di Cristallo sembra la metafora perfetta delle sensazioni esperite negli ultimi tempi da ognuno di noi.
Ci siamo sentiti distanti, isolati, circondati da pareti trasparenti attraverso cui guardare il mondo, cercare una connessione con esso e su cui a volte, come fossero specchi, vedere chiaramente la nostra immagine riflessa.
Una casa di vetro può essere fonte di rassicurazione, di una pace quasi onirica, ma può generare anche solitudine e malessere, paura e sconforto.
Qualche giorno fa ci siamo sentiti per parlare di “Casa di vetro” e del suo percorso artistico.
Sai che ascoltando il tuo ultimo pezzo, verrebbe proprio da pensare che tu l’abbia scritto durante la quarantena? È così?
In realtà l’ho scritto la scorsa estate, e in autunno era già pronto! L’idea era di fare uscire tutto il disco ad aprile, con un altro singolo a lanciarlo.
Poi, siccome c’è stata l’emergenza del Covid, abbiamo bloccato l’uscita e pensato che fosse meglio pubblicare almeno un altro singolo. E “Casa di vetro” era perfetto, perché alla fine parla in qualche modo di isolamento.
Io ho anche interpretato la canzone come una serie di pensieri dettati dalla confusione, dalla saturazione, dalla velocità del mondo in cui viviamo. Siamo così bombardati di cose che non ci sembra di avere tempo per tutto né di poterci godere a pieno niente nella sua interezza. È una chiave di lettura che ha senso?
Assolutamente sì, è uno stato d’animo che vivo spesso. E il brano parla proprio della difficile ricerca della mia casa di vetro, che non è altro che una dimensione protetta, un momento, un luogo ideale in cui poter rifugiarmi, prendere un po’ le distanze dal resto, dalla realtà, senza però isolarmi del tutto.
Da lì continuo a osservare la realtà, ma lo faccio da un altro punto di vista, più ampio.
Quando canti «dammi il tempo di fotografare tutto» e «dammi il tempo di immaginare tutto» a chi stai parlando?
Io quando scrivo penso sempre a un interlocutore, che di solito identifico con una persona a me vicina. Penso che il mio messaggio debba arrivare a qualcuno a cui tengo, e quindi alla fine mi ci rivolgo. Però non lo identifico con nessuno in particolare, non ti saprei dire precisamente chi sia.
Nello special della canzone è come se si entrasse in un mondo delirante, nella mente di una persona che è presa dal panico. Questo risulta ancora più evidente nel video (lo potete guardare al link https://youtu.be/7irj6nukYPU, ndr). Che cosa rappresentano quel momento e il videoclip in generale?
Il video è stato scritto e diretto da Giuseppe Lanno e rappresenta metaforicamente la nascita, la vita e la morte di una giornata. Diversi momenti che possono anche simboleggiare diversi stati d’animo.
Abbiamo girato il secondo giorno della fase due, eravamo ancora bloccati. Quindi l’immaginaria casa di vetro è diventata proprio casa mia!
Nello special il mio corridoio mi risucchia, rappresentando quei momenti drammatici in cui, pur trovandoti finalmente in una situazione che hai tanto desiderato, ti rendi conto che quella comporta dei rischi. Una volta che smette di essere ideale, presenta anch’essa qualche spigolo.
Cambiando discorso, so che hai iniziato suonando in un duo, i Melampus, con cui hai pubblicato tre album e fatto tour in tutta Italia. Che cosa hai portato di quell’esperienza nel tuo progetto attuale?
Quell’esperienza mi ha letteralmente insegnato a fare questo lavoro, quello del musicista. Ho fatto veramente tanti concerti, girando per l’Italia alla guida di un furgone. Io e il mio socio lo caricavamo e scaricavamo, facevamo i soundcheck, suonavamo, rimanevamo fino a tardi nei locali a parlare con tutti…
È stata un’esperienza formativa! Mi ha insegnato a mantenere un contatto umano con le persone con cui lavoro, che sono poi anche quelle che ascoltano la musica, perché senza l’ascoltatore non si può fare questo lavoro!
Inoltre mi sono portata dietro una certa voglia di rimanere onesta, di continuare a fare quello che mi piace fare. Certo, ho iniziato a scrivere in italiano che è già un avvicinamento all’ascoltatore, perché in qualche modo quello che dico finalmente viene capito al cento percento.
Però, allo stesso tempo ci tengo a mantenere la mia personalità. Questo l’ho imparato facendo quello che facevo prima, che era qualcosa di assolutamente atipico nell’ambiente musicale italiano.
“Cristallo”, l’EP che avevi pubblicato nel 2017, contiene tracce più cupe, complesse, lunghe. Come è avvenuto il passaggio verso canzoni più melodiche, dalle sonorità più pop, come gli ultimi tre singoli che hai pubblicato?
È tutto partito proprio dalla volontà di passare dalla lingua inglese a quella italiana. È stato un percorso, molto duro, perché ero ormai abituata al suono dell’inglese, e anche alla dimensione di protezione di una lingua che non veniva capita.
Quindi, passando all’italiano ho dovuto rivoluzionare tutto, e l’EP del 2017 è un primo timidissimo tentativo di mettere in pratica questo desiderio. Ci ho messo molto a capire come fare, è stato complesso. Ho dovuto anche liberarmi di tutta una serie di infrastrutture che utilizzavo sempre per imbastire e proteggere il messaggio che volevo far arrivare quando scrivevo in inglese.
In italiano è un’altra cosa: bisogna badare più al senso, alla sintesi, e molto meno alla forma. È per questo che si avverte un certo cambiamento.
Secondo te è anche una questione di mercato, per cui purtroppo in Italia non funziona tanto discostarsi dalla struttura della forma canzone classica, fare cose diverse? È come se ci fosse un blocco, per cui tutto quello che non è omologato non riesce ad arrivare nel mainstream.
Sì, un po’ questo problema c’è. Io penso che a livello culturale siamo molto legati alla forma canzone, forse perché è quella che è arrivata nelle case di tutti ed è più semplice da recepire. Non è necessariamente un male, però io penso che ci perdiamo tanto ad ascoltare solo quel tipo di musica.
Tanto è vero che io di musica italiana ne ascolto veramente poca. Un po’ perché sono molto esigente e un po’ perché trovo che la musica estera mi ispiri e mi suggerisca cose più interessanti.
Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato di più?
Questa è una domanda molto complessa per me, perché io ascolto veramente tante tante cose e sarebbe difficile sintetizzare.
Però posso dire che, aprendo il percorso di “Cristallo”, ho pensato di dover uscire dalla dimensione “Melampus” per avvicinarmi a una più cantautorale, e il primo personaggio che mi è venuto in mente è stato Charlotte Gainsbourg. Mi piace molto quello che fa e la trovo molto originale e delicata nella sua proposta musicale.
Quindi quella è stata la prima lampadina che si è accesa e che mi ha fatto dire: «Ok, questa cosa io l’apprezzo e quindi potrei cercare di prendere esempio da lei.»
Mi è rimasto impressa la tua presenza sulle copertine degli ultimi album dei Baustelle. Com’è capitato? Vi conoscevate già?
È stato buffo! La prima copertina che ho fatto con loro è quella di “I mistici dell’Occidente”. C’era una foto di gruppo da fare, e in quell’occasione la loro stylist, che io conosco, mi ha contattato dicendomi che gli serviva una ragazza alta, magra e con i capelli lunghi, neri. Quindi io andavo bene, ed è iniziata così.
Da quel momento sono rimasta in contatto con il loro fotografo, che dopo qualche anno, inaspettatamente, mi ha scritto perché cercava una ragazza per le copertine dei due volumi di “L’amore e la violenza”. Il caso volle che quella settimana io fossi a Roma, dove lui abita. Quindi ci siamo incastrati!
Bella storia! E poi, dal punto di vista musicale, hai avuto dei contatti con i Baustelle o le cose sono rimaste separate?
Dopo le due copertine ci hanno invitato ad aprire tre date del loro tour estivo. È stata un’esperienza molto bella. I palchi, di grandi città come Roma, Milano e Firenze, erano importanti! Poi il loro pubblico è uno zoccolo duro di affezionatissimi.
Tra l’altro secondo me il loro pubblico potrebbe apprezzare anche la tua musica! Non siete troppo diversi…
Oggi credo di sì, ma all’epoca eravamo ancora nella fase dell’EP e devo ammettere che c’era qualche occhio sgranato che ci fissava ai loro concerti! (ride, nda)
Hai detto che prossimamente uscirà un album. La parte un po’ più complessa di Cristallo, quella che avevi mostrato nell’EP, ritroverà spazio in questo progetto, che magari ti permetterà di mostrare più sfaccettature di te?
Io penso di essere cresciuta, a livello di ascolti e di gusti. Mi sono un po’ distaccata da quell’atmosfera iniziale.
Ci sono tre brani che ho scritto poco dopo l’uscita dell’EP e che potrebbero essere, come intenzione, a cavallo tra quella fase e quest’altra.
Però, il percorso che ho intrapreso con il disco è quello di una forma canzone un po’ più classica, alla fin fine pop.
Sfrutterai la possibilità di fare qualche concerto, pur ristretto e con le limitazioni del caso, nei prossimi mesi?
Non credo, per due motivi. Il primo è che parte dei miei musicisti non abita a Bologna e quindi, non avendo stabilito niente fino ad oggi… è difficile organizzarsi.
Il secondo, ben più importante, è che a questo punto vorrei sfruttare i mesi estivi per prepararmi veramente ai live in elettrico che farò quando uscirà il disco, in autunno se tutto andrà come deve!
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