Al Teatro Vascello di Roma, mercoledì 29 novembre alle ore 21, ci sarà la prima assoluta dello spettacolo Saved di Edward Bond, traduzione di Tommaso Spinelli – con Francesco Biscione, Manuela Kustermann, Lucia Lavia, Gianluca Merolli, Marco Rossetti e con Antonio Bandiera, Carolina Cametti, Michele Costabile, Marco Rizzo e Giovanni Serratore.
Lo spettacolo andrà in scena dal 29 novembre al 10 dicembre dal martedì al sabato h 21 domenica h 18 .
Saved (Salvati) è una denuncia contro quel capitalismo che ha generato una politica colpevole di aver consapevolmente diseducato una società ormai vittima e carnefice di se stessa. La storia narra le vicende di una famiglia e parallelamente di un gruppo di giovani, tutti in qualche modo colpevoli della morte di un neonato, tutti alle prese con la loro desolata vita quotidiana. Una vita ai margini, in un mondo alienato. Nel 1965 Bond ritrae uno spaccato della periferia londinese, che non sembra distante dalle dinamiche presenti tra le strade e i vicoli delle nostre città, dove non ci sono buoni o cattivi, ma uomini e donne che non hanno ereditato gli strumenti per attuare una scelta positiva. Si è smarrita l’innocenza e l’unico mezzo che si conosce per trovare un posto nel mondo è la crudeltà. L’innocenza potrebbe ricordarci ciò che siamo stati da bambini e, dunque, non ci rimane che lapidarla. Saved è quel momento preciso in cui ti accorgi che “la pietra” scagliata è passata per le tue mani.
Un neonato viene lapidato in carrozzina per mano del padre e dei suoi amici. Qualcuno disse che un’opera teatrale, per essere memorabile, debba avere una trama riducibile a poche parole. Saved di Edward Bond sta alla regola e ne esalta il principio, lasciando attorno a questo nucleo drammaturgico il vuoto più desolato. Non è un testo psicologico, in cui rintracciare i processi mentali che portano al delitto efferato, tanto meno un testo morale, in cui ricercare le ragioni del singolo in relazione alla comunità. E’ una tragedia le cui domande hanno una matrice fortemente politica. Non ci sono buoni e cattivi, ma uomini e donne che non hanno ereditato gli strumenti per attuare una scelta positiva. Abbiamo smarrito l’innocenza e l’unico mezzo che conosciamo per trovare il nostro posto nel mondo è la crudeltà. Confrontarci con l’innocenza ci farebbe ricordare ciò che siamo stati e che ora non siamo più e, per questo, la lapidiamo. Si può distruggere facilmente qualcosa che non ci appartiene, che non ha storia nè nome. Come, ad esempio, quel bambino appena nato da Pam, che nessuno chiama mai per nome e che ha voce solo per piangere, non ancora per parlare. Usiamo la violenza per continuare a sentirci umani, vivi. L’instancabile denuncia di Bond contro il capitalismo ha un incipit feroce : questo suo secondo testo, il resoconto di un atto disumano che è solo l’apice del percorso di disgregamento dell'”umanezza”.
Letteratura della crudeltà che, in quanto assolutamente nera, possiede intrinsecamente il suo contrario. Le porte delle tenebre sono state spalancate, l’agguato è stato teso, eppure l’uomo viaggia col suo fagotto d’umanità. Mostrando anche quella tenerezza che nasce dalla desolazione, dal mancato tendere alla Beatitudine, all’Ordine, alla Bellezza.
Questi personaggi non appartengono al museo degli archetipi greci, ma discendono da essi. Come la rabbia moderna discende dalla tragedia classica. Non sono re o regine e non nascono predestinati, ma monchi sì. Poveracci che percorrono distanze sterminate, senza mai muovere un passo, ciascuno nel suo abisso. Quell’agire è vuota passività che si autodistrugge, è l’indomabile vitalità del branco, che induce gli uomini a deresponsabilizzarsi e a pompare aggressività, grazie all’anonimato che il gruppo promette. Ma non è tempo di mantenere promesse. Alienati, siamo tutti a rischio di essere vittime di un carnefice che ha il nostro stesso profilo. Quel branco non ha segreti da svelare, non ha percezione del futuro e quindi nulla da costruire. Nella Londra di Bond, prima del Thatcherismo, i ragazzi del branco non superavano i venti anni. Oggi la cronaca ha alzato la loro età media, quei non-ancora-uomini hanno trent’anni, spesso anche quaranta.
Saved è scritto in cockney, il “dialetto” della periferia londinese, della classe operaia più umile. In una lingua fatta di dialoghi fitti, di battute brevissime e spesso sgrammaticate, si intravedono personaggi che invertono il mito edipico. Non un figlio che uccide il padre ma un padre che uccide il figlio, appena nato. E il ruolo della malasorte, degli dei, è assegnato al potere mancante: i genitori. I figli hanno “bruciato” la casa paterna, per cercare un’ipotesi di giustizia tra le rovine, ma madri e padri non hanno insegnato loro come ricostruirla. Harry e Mary, nonni negligenti del bimbo ucciso, avrebbero dovuto indicare alla figlia Pam una strada possibile per il riscatto, mutare le incapacità in risorse e non instillare il terrore dei rapporti familiari. Avrebbero dovuto essere un esempio anche per Len e Fred. Ma giocano la parte dell’autorità inadempiente, che non ha i mezzi per assolvere al proprio ruolo etico. I genitori come i politici, i militari, la scuola, i giornalisti, i teatranti dovrebbero guidare le nuove generazioni perchè si rinasca, perchè ci si salvi. Ci si salvi da un’imminente apocalisse fatta di cose e cose, di tutto e subito, di immemori e dimenticati, di io e io, di illegalità, di solo presente senza futuro e passato.
Credere per ripartire, col naso in su, per cercare tracce di un dio disperso e direzioni nuove da intraprendere.
Saved, del ’65, ha contribuito a sancire la fine della censura teatrale inglese. Saved è, dunque, un punto di non ritorno nella storia del teatro.
Saved è quel momento preciso in cui ti accorgi che “la pietra” scagliata è passata per le tue mani.
Non c’è compassione, solidarietà, giustizia. Neppure rimorso. Non c’è neppure un finale tipico, se non una scena di muta quotidianità, che lascia un senso di incompiutezza, uno spiraglio qualunque per spingere il pubblico a chiedere, a mettere in discussione. Ecco forse la speranza. Sin dal titolo è chiaro: qualcuno o qualcosa si salva. Chi? E dove scovarlo? Nell’incontro sincero? Nel silenzio che produce pensiero? Nel congedo da una prospettiva letale? Nelle instancabili domande di Len? Nell’atto di aggiustare qualcosa, una sedia rotta ad esempio, e ripartire da lì, dall’agire? Nel teatro che pone domande?
Gianluca Merolli