‘Appunti per Orestea nello sfascio’ al Brancaccino di Roma dal 15 al 18 marzo

Al Brancaccino di Roma Venanzio Amoroso e Patrizia Ciabatta porteranno in scena ‘Appunti per Orestea per lo sfascio’ di Terry Paternoster dal 15 al 18 marzo.

 

Oreste torna a casa dopo un lungo confinamento imposto dalla madre a causa della sua omosessualità marchiata a pelle. Dopo anni di esilio forzato, Oreste è costretto a rivedere la sua famiglia per via di un terribile e inaspettato evento: la morte di suo padre, scomparso prematuramente in circostanze poco chiare. Oreste ritrova sua madre devastata dal peso dei debiti e dell’usura, e per di più precipitata in un totale sfascio di valori. Grazie al confronto con sua sorella, la sua percezione del senso della vita subirà un mutamento, che lo porterà alla riscoperta di una nuova identità. Un evento inaspettato scoperchierà la coltre del silenzio, che l’ha tenuto buono per troppo tempo, rivelandosi in un orrendo e tragico atto finale. “Orestea nello sfascio” racconta le derive della nostra società, corrotta e rassegnata; ed è ambientata nel cuore dell’Altra Terra dei Fuochi, dove Elettra e Oreste sono al centro di un intrigo di scandali sessuali, omicidi mafiosi e rifiuti tossici.

Il percorso di ricerca

“Orestea nello sfascio” nasce da un percorso di ricerca che si è sviluppato attraverso tappe di laboratorio-residenza, presso il Dipartimento di Arti visive, Performative e Mediali dell’Università di Bologna (DAMS), il CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, L’Università LA SAPIENZA di Roma e l’Università dell’Aquila, con il fine di approfondire, di volta involta, nuovi risvolti del rapporto tra il Mito e i suoi riverberi nel contemporaneo.

“Orestea nello sfascio” è un affondo nella materia drammatica dell’unica trilogia tragica a noi pervenuta, l’Orestea di Eschilo. Addentrandomi tra le fila di un’opera capitale per la letteratura drammatica mondiale, non ho voluto riproporre necessariamente un’ulteriore e aproblematica interpretazione della fabula (l’orrendo ciclo di delitti che culminano con la pazzia di Oreste), ma penetrare nella decadenza dell’inconscio collettivo, in cui si inserisce lo sfascio e la crisi di valori della nostra società. È da qui che muove il progetto, proponendosi di sondare, attraverso la prassi teatrale, la relazione di un’intera collettività con la crisi sociale, politica ed economica. L’intento finale è dunque di interrogare il nostro reale, per provare a capire cosa si cela dietro la precarietà delle emozioni che asfissiano il nostro quotidiano, per smuovere l’indifferenza e pilotarla verso il cambiamento.

La macchina teatrale

Ho desiderato fortemente proseguire, con questo progetto, il percorso di ricerca iniziato con “MEDEA BIG OIL”, spettacolo vincitore della XIV ed. del Premio Scenario per Ustica, riconfermando la mia vocazione per l’indagine di matrice antropologica, con l’intento di analizzare, da un nuovo punto di vista, il comportamento socio-culturale di una famiglia che cade in rovina schiacciata dal peso dei debiti. Anche qui, la madre è una figura chiave come in MEDEA BIG OIL, ma non appare come una donna rassegnata che si abbandona agli eventi; è una finta bigotta che nasconde un terribile crimine dietro la maschera del “va tutto bene grazie”: qui la madre rappresenta il riverbero malsano di una società corrotta sin dal basso.

Se in MEDEA BIG OIL lo scenario era la Basilicata, martoriata dalle multinazionali del petrolio, qui si puntano i riflettori nel cuore della Puglia, L’Altra Terra dei Fuochi, dove Elettra e Oreste sono due fratelli al centro di un intrigo di scandali sessuali, omicidi mafiosi e rifiuti tossici.

Durante le tappe di laboratorio ho lavorato principalmente sulla coralità; ed è proprio dall’analisi della funzione narrativa del coro e del buffone contemporaneo che sono arrivata all’esigenza di una sintesi fisico-espressiva, di matrice più intimistica e privata che collettiva e corale. Il corpo del coro scompare, ma continua a vivere nella paura del giudizio che affligge i due protagonisti: due fuochi che si muovono intorno ad una macchina: una struttura astratta, il cui valore semantico si fa strada col gesto e il movimento degli attori che lo fanno esistere come “atto” simbolico. Un omaggio al fatidico monolito di Kubrick in 2001 Odissea nello spazio e alla scala di Caronte, quella macchina teatrale che consentiva agli attori greci di rappresentare la discesa sottoterra, cioè il luogo che, nella finzione teatrale, coincideva con l’oltretomba.

 

Il peccato originale

 

Ispirandomi ai principi della Fisica quantistica, secondo cui si deduce che esistiamo se esiste un soggetto osservatore che ci fa diventare “atto”, ho scelto di soffermarmi su un concetto che prolifera da tempo nella mia mente come un disturbo micotico: il dubbio amletico dell’essere o non essere. Ho trasferito il disturbo al protagonista e ho cercando di sviscerare cosa c’è alla base del rapporto dialettico che innesca il meccanismo del dubbio esistenziale. Mi sono resa conto che cercare questa risposta può portare alla pazzia. Siamo nell’epoca del tutto è il contrario di tutto, il problema è che dubitare di tutto non ti fa credere più a niente. E’ questo il punto di partenza del percorso psicologico dei protagonisti. Due anime smarrite nel caos dell’informazione, due ragazzi di oggi che non credono in nulla, due vite che non investono più fiducia nella giustizia divina, né tanto meno in quella dei tribunali. Due giovani a cui hanno ammazzato il futuro, non solo un padre. Due fuochi riuniti in un tragico “atto” finale: Oreste è il braccio, Elettra la mente; l”atto” è la vendetta di una generazione alienata dal marketing, soffocata dal debito, vittima di un peccato originale ereditato dai padri.

Oreste e Amleto

Rivisitando il mito, ho inoltre messo a confronto altre due anime: Oreste e Amleto, due facce della stessa medaglia. Al contrario di quanto accade ad Amleto, il dubbio esistenziale di Oreste, qui consegue, anziché precedere la vendetta: il piatto che Shakespeare servirebbe freddo.

Se il mondo macroscopico che viviamo e sperimentiamo con l’esperienza soggettiva sembra dominato da leggi inderogabili che lo rendono solidamente reale, il mondo microscopico sembra avvolto nella nebbia fitta dell’indeterminazione. Allora il dubbio permane, non si risolve: Essere o non essere? L’interrogativo esistenziale del vivere (essere) o morire (non essere), che è alla radice dell’indecisione che impedisce ad Amleto di agire, si rivelerà, in Oreste, come atto finale di una vendetta istintiva: un raptus.

Il crollo dei punti fermi

Lo spettacolo è un pretesto per denunciare il crollo totale dei punti fermi, dei riferimenti, la condizione di smarrimento dell’essere umano che sorregge la piramide sociale; è quindi un’occasione per condividere con il pubblico non solo il dubbio dell’esistenza, in cui il potere politico è il soggetto osservatore che determina l’atto del nostro esistere, ma anche alcune riflessioni sul concetto di giustizia: se per i greci era necessario istruire la polis ad una nuova idea di giustizia, istituendo il primo tribunale umano, oggi rimane il dubbio sulla riuscita degli intenti dei nostri antenati. La giustizia potrebbe dunque divenire in questa logica un mero punto di vista, in cui l’atto vendicativo, in alcuni contesti potrebbe per assurdo diventare “un altro modo per dire GIUSTIZIA”. Un esempio potrebbe essere il desiderio delle nuove generazioni di rivendicare il loro futuro, schiacciato e ucciso dagli interessi dei potenti del mondo. L’intento non vuole essere in nessun modo una forma di istigazione a delinquere o esortazione alla violenza. Ho cercato di portare in scena questo percorso che gradualmente condurrà lo spettatore ad una condizione di catarsi. L’umanità è in pericolo e ciò che possiamo ancora fare è stimolare con l’arte lo spirito critico per riappropriandoci della realtà.

L’utopia

 Per cambiare l’oggi ci volgiamo indietro, ai passi che abbiamo compiuto, al mito. Un mito che continua instancabilmente a dirigerci, seppur calato in un contesto sociale nuovo. A rimanere totalmente invariato è il peso latente di un peccato originale che si tramanda di famiglia in famiglia, di generazione in generazione, di popolo in popolo. Attraverso gli occhi di Oreste, parteciperemo al sogno di creazione di una nuova coscienza collettiva. Anche se l’utopia è spesso lo smascheramento più violento della cancrena del nostro mondo.