Due canzoni della rock band cuneese, “Staring at the sun” e “Runaway” sono state scelte per accompagnare le immagini di uno dei più importanti simulatori di guida per PlayStation, “Assetto corsa competizione”.
Per l’occasione abbiamo intervistato Cristian Barra, frontman e songwriter della band con dichiarate influenze british tra pop/rock, indie/rock e alternative.
Ciao Cristian, grazie innanzitutto per la tua disponibilità.
Grazie a te, ma vedo che hai una maglietta degli Arctic Monkeys!
Eh si, io sono una grande fan!
Ah beh, Alex Turner è un personaggio fantastico. Io ascolto tantissimo la loro musica anche se il loro genere ma non ci appartiene molto. Diciamo che siamo molto più sul filone Coldplay.
Beh, effettivamente ascoltandovi si notano queste influenze musicali. In Italia però non è un genere facile da fare, soprattutto in un periodo in cui la maggior parte dei giovani ascoltatori prediligono trap, rap e generi molto diversi dal vostro. Secondo te come mai questo divario?
Inizio subito prendendo il discorso un po’ alla larga. Negli ultimi 20 anni politica, televisione, musica e social network sono stati caratterizzati da un messaggio univoco, ovvero che chiunque può farcela, pur non avendo studiato. Alla base di questo concetto c’è una semplificazione dei messaggi. Prendi ad esempio la politica; i messaggi sono semplici e diretti.
Nella musica è uguale, i nuovi generi forse permettono a più persone di approcciarsi ad essa. Non servono quindi grandi doti canore o grandi studi musicali.
E in che modo i Madyon cercando di prendere le distanze da questa tendenza?
Noi abbiamo sempre cercato di staccarci dal concetto di “fama”. È difficile trovare persone interessate esclusivamente a fare buona musica, spesso c’è solo la voglia di diventare famosi. La musica non è più il fine ma uno strumento. Come, ad esempio, sono pochi i politici che decidono di fare questo mestiere per missione personale; spesso ricercano solo un posizionamento privilegiato.
Quindi alla domanda su come facciamo a distinguerci da tutti io ti dico che per noi è importante che della nostra diversità se ne accorga anche una sola persona. Noi vogliamo rimanere veri e fidelizzati al concetto di musica. Il nostro focus è la canzone con tutta la sua simbologia: seguiamo la musica e non lo storytelling dell’artista.
Ascoltandovi si sente chiaramente l’internazionalità del vostro lavoro. Come siete giunti a questa consapevolezza e maturità?
Non è facile avere credibilità. Noi siamo nati su YouTube e piano piano ci siamo fatti conoscere anche fuori dai confini nazionali. Dei ragazzi in Inghilterra ci hanno scoperto e ci hanno chiesto di venire a Cuneo, la nostra piccola cittadina dove non c’è nulla, per registrare un disco nel nostro studio. Loro si chiamano Safe Haus, sono pazzeschi. Qualche anno fa purtroppo il loro cantante è mancato e io sono rimasto in contatto con suo fratello che mi ha chiesto di andare in tour con loro per rendere omaggio al front man scomparso.
Questa esperienza ha dato a me in primis credibilità a livello internazionale perché suonare all’estero, e soprattutto in Inghilterra non è facile, ci mettono poco a catalogarti con stereotipi tipo “pizza, mandolino e Rocco Siffredi”.
Ormai diciamo che come band avete sicuramente trovato la vostra strada, ma è sempre stata questa la tua musica?
In realtà io ho sempre ascoltato di tutto, per un periodo sono stato anche dj di musica house, minimal e techno. Oggi mi capita di fare le canzoni di Chris Martin e poi mi ascolto le Boiler Room di Solomun. Quindi in realtà ho sempre spaziato molto.
E oggi se dovessi definire la tua band, i Madyon, come li definiresti?
Uh, che domanda difficile. Siamo degli outsider, con il piacere di esserlo aggiungerei. Tutti sappiamo cosa bisognerebbe fare per cercare di emergere in questo mercato e noi forse non vogliamo farlo apposta.
Dal 2012 stavamo portando avanti un progetto di comunicazione basato sulle cover delle canzoni più ascoltate e ricercate del momento. Con l’aiuto dei Google Trends individuavamo i pezzi di maggior successo e con i nostri video cercavamo di inserirci nei correlati. Nell’arco di 12 mesi ci hanno contattato gli organizzatori del Collisioni Festival proponendoci il main stage prima di Fabri Fibra; ti lascio immaginare il nostro stupore. In quel momento pensavamo che i tempi fossero maturi per far uscire un disco di inediti. Siamo andati ad Abbey Road e abbiamo registrato due EP con un gruppo selezionatissimo di collaboratori.
Dalla sua uscita è partito un periodo molto carico durante il quale abbiamo fatto anche live all’estero. Poi purtroppo mio papà si è ammalato e per me sono venuti a mancare gli stimoli. Così è nata “Staring at the Sun” che parla proprio della ricerca di stimoli per andare avanti.
Alla fine di tutto questo racconto posso dirti come definisco i Madyon: siamo degli outsider, abbiamo sempre fatto le cose in modo molto professionale e il mercato italiano spesso non ci capisce. Forse siamo fuori mercato, o meglio, fuori moda.
Pensi quindi che manchi qualcosa nel vostro lavoro o nella vostra musica?
Penso che alla fine non manchi niente perché se arrivi a capire che stai facendo quello che vuoi fare, nel modo in cui lo vuoi fare forse non manca proprio nulla. Forse ci manca solo l’ultimo passo di questo percorso che è la piena consapevolezza del nostro lavoro.
Certi treni vanno presi quando passano e l’inserimento di due nostri brandi all’interno del videogioco “Assetto corsa competizione” è una bella occasione che abbiamo sfruttato.
A proposito di questa collaborazione con un settore molto diverso dal vostro, ovvero quello dei videogame, ci vuoi raccontare com’è nato questo progetto?
Sono stato contattato su Facebook da quello che inizialmente si è presentato come un nostro grande fan che voleva a tutti i costi incontrarmi. Questo ragazzo alla fine era, Davide Brivio, responsabile marketing e co-titolare di un’azienda che stava producendo un videogioco per PlayStation. Durante tutto il periodo di creazione del gioco lui e tutti gli sviluppatori hanno ascoltato la nostra musica e quindi hanno deciso di includere “Staring at the sun” e “Runaway” all’interno del loro lavoro. Questa cosa ci ha davvero riempiti di orgoglio perché non avevano bisogno dei Madyon per vendere copie e invece hanno scelto proprio noi perché la nostra musica li ha accompagnati durante tutto il processo di creazione. Questo significa che la musica circola; tu la fai e piano piano gira e arriva alle persone giuste.
La musica è un linguaggio universale. Purtroppo però questo periodo è complicato per tutto il settore, soprattutto per i live. I Madyon che programmi hanno?
I live per noi sono solo un pezzo di tutto il prodotto e sono sempre contestualizzati. I Madyon comunicano con la musica, ma anche con le immagini, partendo dalle copertine con la loro simbologia fino agli abiti.
In diverse copertine dei nostri singoli c’è una persona che sta facendo qualcosa rivolgendosi all’orizzonte, c’è sempre un elemento a triangolo e uno a cerchio come citazione al nostro primo logo; in “I miss you” ad esempio il triangolo era formato da uno stormo di uccelli in volo.
La copertina di “Blood” è piena di simboli: nel cielo è raffigurata la costellazione dei pesci, che è il segno zodiacale di mio papà, ed è a forma di triangolo. Ci sono due persone, una delle quali è rappresentata quasi in trasparenza come se non fosse realmente presente, e c’è anche una E, ovvero l’iniziale di mio papà, dalla quale escono delle bolle che si illuminano.
In altre copertine invece abbiamo inserito la luna o un pianeta, immaginando i nostri brani come colonne sonore di un mondo parallelo.
In realtà non raccontiamo mai queste storie sui social, ognuno è libero di trovarci il significato che vuole.
Per raccontare la vostra musica quindi non è necessario fare un live ma è più importante avere una comunicazione integrata?
Esatto, noi non faremo mai un live sporadico. Quest’anno avremmo voluto fare prima il live e poi il disco per provare qualcosa di nuovo. I live sono un elemento che ci completa perché una band deve necessariamente saperli fare ma non sono una prerogativa. La cosa che ci interessa di più è arrivare alle persone, fossero anche 2 o 3, ed è bello quando qualcuno viene ai nostri concerti apposta perché magari ti aveva sentito su YouTube. Posso solo immaginare cosa si prova quando questo meccanismo si moltiplica esponenzialmente. Vedremo cosa ci riserverà il futuro!
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