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Lunedì 22 gennaio ‘Maledetta La Neve’ all’Off/Off Theatre di Roma

Serata unica il 22 gennaio all’Off/Off Theatre di Roma per la pièce Maledetta La Neve, Interviste ad uomini che hanno ucciso le donne, con Massimo Capuano e Chiara Meloni, anche drammaturga e regista.

Verranno messe in scena tre interviste a uomini normali, persone comuni, eppure assassini, colpevoli di aver ucciso la propria compagna di vita, l’ex fidanzata o la moglie, madre dei propri figli.

 

LA RICERCA GIORNALISTICA: Contattati nel 2014 dalla giornalista Vanna Ugolini e dal Sovrintendente di Polizia Massimo Pici, si sono fatti intervistare per ripercorrere con la memoria i passi compiuti. Dicono – e vogliono anche convincere se stessi che sia così – “parliamo perché certe cose non si ripetano”.

In un solo caso l’intervista è avvenuta in carcere, negli altri due casi gli uomini erano in stato di semi libertà dopo detenzioni di 10 anni o periodi addirittura inferiori. I tre uomini abitano in tre regioni diverse, fanno mestieri diversi, provengono da estrazioni culturali diverse, le loro storie sono diverse, comprese la storia processuale e quella carceraria. Eppure il senso delle loro parole è lo stesso. In un modo o nell’altro: “non è colpa mia” sembrano dire i tre all’unisono, quando spartiscono la colpa con tutto e tutti. Questo punto di contatto tra le tre storie fa intuire che ci sia margine per un’indagine, nella quale è stata successivamente coinvolta la psicologa Lucia Magionami, per individuare contesti, profili psicologici ed eventuali schemi comportamentali che ricorrano negli uomini autori di femminicidi, mettendo in luce i retaggi culturali e le cause meno evidenti della violenza, che a volte, come in questi casi, rimane sottesa e latente o non viene riconosciuta per molto tempo, finché diventa troppo tardi.

 

LA RICERCA TEATRALE: Chiara Meloni e Massimo Capuano di Compagnia Degli Gnomi, soci di Libertas Margot, nel 2015 hanno interpretato un frammento della prima intervista durante convegni e attività di formazione organizzati dall’associazione, portando avanti lo studio nel corso dei due anni successivi.

LA MESSA IN SCENA: la giornalista e il detenuto si fronteggiano, solo in apparenza collaborano a snodare con il dialogo il tessuto del racconto, ripercorrendo in maniera irregolare i passi che hanno condotto a quel giorno, inciampando. Lei si trattiene sui margini delle falle, allerta, entrambi in cerca, in attesa che arrivi qualcosa che non arriva mai: la giustificazione per lui, che in qualche modo si ritiene giustificabile, e per lei la risposta alla domanda “Perché l’hai uccisa?”.

La risposta non arriva ma il dialogo, a tratti confidenziale, a tratti incalzante come un interrogatorio, precipita fino al punto in cui l’azione giunge ad evocare visioni di un passato ossessivamente replicato, sondato, investigato, interrogato ancora. Ancora rappresentato. Lui è ancora in cerca di un nuovo modo per raccontare le cose, per far valere i dettagli e le ragioni, come se fosse possibile tornare indietro, prendersela con la neve, con le coincidenze, cambiare quel passato illuminando solo alcune immagini. Cancellare il resto nell’ombra.

Ma la luce determina i contorni squallidi di un luogo presente, reale, nudo, tremendo, che si sovrappone ai contorni vaghi del passato e dell’ipotesi, e chiede il conto.

L’uomo intervistato non è sempre lo stesso, ma è come se lo fosse. Uno stesso attore parla più voci, interpreta tre personaggi dai modi e dagli accenti diversi, con storie diverse da raccontare, eppure il senso delle parole segue la stessa direzione: la fuga da se stessi.

Tra un’intervista e l’altra, tra offuscamenti smarginati come le ferite e intermittenze insistenti e irreali, la giornalista è costretta a riconnettersi alla logica asettica del perché avvengano le cose, perché avvengano anche dove il semplice buon senso non le aveva previste. È tutta una serie di interrogativi a se stessa, e quindi al pubblico. In quale meccanismo occulto dell’essere umano risieda la capacità di uccidere. Perché un uomo che uccide, perché una donna uccisa. Perché il tempo non cambia le cose.

 

Nicola Maiello: