Uno spettacolo intimo, piano e voce. Un’anteprima della sua tournée nei teatri per il tanto atteso “30th Anniversary Tour”, rinviato alla prossima primavera a causa dell’emergenza sanitaria.
Marco Masini è salito, il 1 settembre, sul palco della Cavea dell’Auditorium di Roma, con la timidezza e l’eleganza che lo contraddistingue. Davanti a lui, il pubblico che da anni è al suo fianco: generazioni a confronto, madri e figli, che conoscono a memoria i testi delle sue canzoni.
Era il 1990 quando, a 26 anni, conquistò l’Ariston con Disperato, un brano che ben presto divenne la colonna sonora dei turbamenti giovanili di quegli anni. Oggi, a 55 anni, e tre decenni di successi, sfide, delusioni e rinascite, Marco è tornato, in uno dei momenti più difficili e complessi della storia della musica italiana.
Canta di amori finiti, di illusioni e di sogni, di sconfitte e di desideri. Canta la vita, così com’è, in tutta la sua imprevedibile complessità. Con la tenacia e il coraggio di chi ha saputo rialzarsi e tornare protagonista, Masini guarda negli occhi la sua gente e, virtualmente, abbraccia uno per uno.
Complice una bellissima luna piena, la sua voce emoziona e commuove: da Malinconoia a Cenerentola Innamorata, da T’innamorerai a Caro Babbo, dedicata al papà scomparso lo scorso giugno, è un susseguirsi di memorie, esperienze e vissuti.
Il cantautore toscano alterna musica e parole e si racconta, con semplicità e schiettezza. Ricorda quel Natale che segnò il suo destino, quando, ancora bambino, ricevette in dono dai suoi genitori una pianola giocattolo. Ricorda gli anni dell’ascesa e i momenti delle sconfitte. Ricorda Giancarlo Bigazzi, suo grande amico e mentore.
“Crederei nel domani, in noi stessi, e negli altri è quanto di più importante per sentirsi vivi”: un messaggio di speranza e di futuro che si traduce in note durante l’esibizione di Che giorno è, cantata insieme alla voce straordinaria di Federica Camba, unica ospite della serata
Vivere cadere vivere e rialzarsi vivere, ricominciare, come la prima volta: nessun’altra parola sarebbe stata più appropriata, in questo momento più che mai. In questa vita che ha fretta, riapriamo ancora una porta e raddrizziamo la rotta per vivere che giorno è: un ritornello che, a concerto finito, continua a suonare. Un inno ai sogni. Un inno alla resistenza e alla resilienza. Un inno alla vita, combattuta e conquistata.
Articolo e photogallery di Doralisa D’Urso