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Rogoredo FS: «Con “Mercanti” vi mostriamo chi siamo»

Abbiamo intervistato i Rogoredo FS in occasione dell’uscita di “Mercanti”, il secondo singolo della alternative-rock band pavese, dedicato a chi non è disposto a incoerenze pur di vincere.

Il 25 giugno è uscito “Mercanti”, il secondo singolo dei Rogoredo FS, una band nata nel novembre del 2017 sulle panchine dell’omonima stazione milanese, punto d’incontro tra i vari membri, provenienti da diverse zone d’Italia.

La loro base è però il pavese, dove in questi due anni e mezzo si esibiscono in diversi locali e si fanno conoscere, raggiungendo Milano e persino il modenese. Inizialmente la loro attività è live: compongono sì, ma preferiscono presentare i loro inediti solo durante i concerti.

Nel 2019 raggiungono una nuova formazione – con Armando Rossi alla voce (ma vi assicuro che è un polistrumentista e in particolare un chitarrista raro), Jacopo Poppi alle tastiere, Nicholas Bianchi alla chitarra, Riccardo Senna al basso e Andrea Pisati alla batteria – e si sentono finalmente pronti per pubblicare le loro canzoni.

Il passaggio non è immediato, vogliono fare le cose per bene. Si affidano a Massimo Palmirotta, un produttore che li aiuta a revisionare il proprio repertorio e a trovare una precisa identità all’interno del rock alternativo italiano. Strizzano l’occhio a suoni moderni, senza perdere l’humus aggressivo in cui sono cresciuti. Nel marzo del 2020 sono pronti, e pubblicano il loro singolo d’esordio, “Psicosociale.

Sono sfortunati, perché la traccia esce due giorni dopo il lockdown nazionale, in mezzo alla più totale confusione mediatica e sociale, ma “Psicosociale” permette ugualmente ai Rogoredo FS di lanciarsi sul mercato. Due mesi e mezzo dopo arriva un pezzo che definirei più pregiato, “Mercanti”:

«Quando il testo di “Mercanti” è stato scritto, in giro c’era molta rabbia: contro il prossimo, contro lo Stato, contro chi era contro lo Stato.

Il pianeta che abitiamo è costellato di individui che svenderebbero qualsiasi principio morale in nome della visibilità, o ancor peggio del potere.

“Mercanti” è la resa dei conti, lo smascheramento dei falsi ideali e delle rivoluzioni su Facebook. “Mercanti” è dedicato a chi non è disposto a incoerenze pur di vincere.»

La raggiunta fase tre dell’emergenza Covid-19 mi dà la possibilità di incontrare i due fondatori e masterminds del progetto, Armando e Jacopo. Davanti a una birra, si sa, è tutto più bello, e questa lunga intervista ne è la prova.

Ciao ragazzi! “Mercanti” è fuori da un paio di settimane ormai. Siete soddisfatti del riscontro del pubblico?

Jacopo: Molto! Sta andando bene, meglio di “Psicosociale”, sia come numero di streams sia come feedback. Ci hanno scritto in tanti per complimentarsi.

Armando: Era poi quello che speravamo succedesse. La prima canzone era un assaggio, che ci serviva per rompere il ghiaccio e per preparare il lancio di “Mercanti”, che è un po’ più identitaria.

Sono contento! E io che pensavo che “Mercanti”, essendo una canzone più complessa, avesse bisogno di più tempo rispetto alla prima, più ballabile… Ascoltandola ho proprio pensato che la sua imponenza la potesse far diventare un classico, un kolossal del vostro repertorio. Era il vostro intento iniziale scrivere una canzone del genere? O è arrivata quasi per caso?

A: Diciamo che, mentre “Psicosociale” era stata scritta a tavolino, un po’ alla Nickelback, perché avevamo l’esigenza di trovare un primo singolo più adatto al pubblico generalista, “Mercanti” è nata già dall’inizio con l’intento di alzare il tono del discorso, ponendolo su un piano più serio e impegnativo.

È nata nella mia cameretta, in acustico, ma poi ci abbiamo lavorato insieme e piano piano sono emerse tutte le sovrastrutture che ora la compongono.

J: Sì, con “Psicosociale” ci eravamo divertiti anche a inserire una melodia accattivante, tranquilla e ballabile… Però con un testo che in realtà maschera altro.

“Mercanti” è una canzone che ha immagini forti, ricercate, con tanti richiami che si colgono solo ascoltandola più e più volte: bisogna mettere a posto i mattoncini. Il filo conduttore è il desiderio di fuga da una situazione opprimente. A cosa vi riferite?

A: Il brano è costituito da due blocchi. La parte delle strofe è un dialogo tra due prigionieri che, come in un racconto platonico, si conclude con l’imposizione, tramite dei falsi ideali, di uno sull’altro. È come se nello stato di natura fossimo tutte scimmie e alla fine la scimmia più furba riuscisse a sfruttare il populismo per ergersi rispetto alle altre scimmie.

Invece, nel ritornello si caratterizza la scimmia che ha predominato e la si paragona a un mercante, che nel nostro caso è un venditore di falsi ideali.

J: E a quel punto emerge l’immagine della «bilancia dei mercanti», che ha una chiave interpretativa antica, ancestrale. La bilancia è tarata come vuole il mercante, in ogni epoca. Lui decide il costo di quello che vuoi comprare, a seconda del suo tornaconto.

A: Sì, ci sono anche alcuni film in cui si può osservare come, nei mercati antichi, i mercanti spacciassero un metallo colorato per oro e, tramite un trucchetto, falsassero il valore della bilancia.

Spiegatemi meglio. Anche nella copertina troviamo «la bilancia dei mercanti» di cui mi state parlando ora. È una bilancia a due piatti. Su uno di loro troviamo un cuore, che però sembra leggerissimo rispetto al pesetto posto sul secondo piatto. Che cosa volevate rappresentare?

J: Una chiave di lettura, la più immediata, può essere che la società in cui viviamo e di conseguenza noi individui diamo sempre meno importanza al cuore, che rappresenta la nostra umanità, il senso d’amore.

A: Quando suonavamo il pezzo ai concerti lo introducevamo sempre dedicandolo a chi non è disposto a incoerenze pur di vincere. E tutto è collegato anche a quello che mostriamo nella copertina.

Il cuore, così leggero e insignificante, è proprio quello di coloro i quali sono disposti a tutto, a diventare incoerenti, a mutare nel tempo la propria opinione non per evoluzione mentale ma per semplice tornaconto, per manipolare delle situazioni.

J: Esatto. Allo stesso tempo ci può essere un altro livello interpretativo, quello che va al di là delle apparenze, per cui il pesetto potrebbe essere fatto di un ferro pesantissimo. E questa è la contraddizione che ci serviva per far entrare il pubblico nel meccanismo della canzone.

Chi sarebbero i mercanti a cui vi riferite?

A: Li puoi generalizzare con tutta la classe dirigente, anche se quando la canzone è stata scritta (un paio d’anni fa, ndr) spiccavano vari personaggi che erano bravi ad utilizzare i meccanismi populisti… Ma per certi versi è diventata anche attuale, perché qualche settimana prima che uscisse sono scoppiate varie rivolte in tutto il mondo, per il Black Lives Matter e non solo, e molte persone ne hanno approfittato anche in quel caso.

J: Diciamo che è chi pensa di essere riuscito a emergere, a distaccarsi dalla casta inferiore, stando però a contatto con essa e manipolandola.

Prima di pubblicare “Mercanti” avete esordito con “Psicosociale”. Già dalla copertina emerge una differenza tra i singoli.

A: Sì, volevamo sottolineare già da lì che i singoli dicessero cose diverse. L’idea sarebbe poi di unire i diversi elementi che stiamo presentando nella copertina del progetto che comprenderà questi singoli, facendo capire che tutto può ricollegarsi sotto un unico concetto. Ma ora è più importante definire le differenze tra le varie canzoni.

J: La copertina di “Psicosociale” l’ha fatta mio fratello (Filippo Poppi, ndr), e si può notare un individuo centrale illuminato e circondato da altre persone, che però sono rappresentate in bianco e nero. Volevamo trasmettere il messaggio che tu sei solo in quest’universo di persone tutte uguali. Hai quel qualcosa in più, però sei uguale a tutti gli altri. Tu ti senti giallo, ma in realtà tutti sono gialli per sé stessi.

Nel ritornello di “Psicosociale” cantate «termina qui, la mia libertà espressiva ha già raggiunto una deriva psicosociale». Pensate che farà sempre parte della vostra narrazione il malcontento nei confronti delle contraddizioni della società? O siete anche altro?

J: Questo è il substrato che ci ispira a scrivere, quindi probabilmente le nostre canzoni avranno sempre qualche frecciatina alla società. È quello il nostro stimolo.

A: Sì, il contesto sarà sempre sociale. Tuttavia, i prossimi due pezzi che pubblicheremo lo faranno concentrandosi su altre sfumature. Se in “Psicosociale” e “Mercanti” ci siamo soffermati sulla collettività, in seguito ritrarremo più specificatamente la figura di un singolo individuo all’interno della società.

Ho il ricordo di una vostra esibizione, circa due anni fa all’Alcatraz, durante la finale dell’Emergenza Festival. Ero rimasto impressionato da come il pubblico si fosse caricato sul ritornello di “Psicosociale”, cantando e ballando pur non conoscendo la canzone. Cosa ricordate di quella giornata, che immagino per voi sia stata speciale?

J: È stato un battesimo! La band era nata da poco, suonavamo insieme solo da qualche mese… Tra l’altro il nome Rogoredo FS l’abbiamo dovuto scegliere proprio per iscriverci, perché prima non avevamo ancora un nome ufficiale. Quindi fare un concerto su un palco del genere… è stato allo stesso tempo terrificante e meraviglioso. Anche perché era un’ottima vetrina per spaccare, per farci conoscere!

A: Sì, in particolare il luogo ci ha influenzato tanto. Prima suonavamo sui palchetti dei piccoli club, mentre lì eravamo in una specie di mausoleo del rock italiano. Era la concretizzazione di un sogno infantile!

Tra l’altro raggiungere un risultato del genere, con il traguardo della finale raggiunto al termine di selezioni agguerrite, con una band formatasi solo pochi mesi prima, dà una chiara idea delle vostre capacità live. Come l’avete presa quando avete capito che non avreste potuto fare concerti per un po’?

J: Sicuramente male! (ride, ndr) Tra l’altro il lockdown è capitato proprio nel momento in cui avevamo deciso di pubblicare le canzoni sugli store digitali, e avevamo organizzato un po’ di date per lanciarle meglio. Peccato.

Potete consolarvi pensando che questo periodo vi sta permettendo di arricchire il vostro repertorio di canzoni. Ce la state facendo o il periodo vissuto ha inibito la vostra creatività?

J: Guarda, stare in casa, bloccati, con uno schermo o la finestra di casa come unici punti d’osservazione sul mondo esterno… Dal punto di vista artistico è stato sicuramente un disastro!

A: Molte persone sono state anche ispirate da questa storia claustrofobica, dall’aver ritrovato la propria individualità. Però le nostre ambizioni cantautorali sono concentrate sulla società, sullo studio delle persone quando giriamo per strada. Di conseguenza è stato abbastanza frustrante, anche perché il contesto familiare in cui ci eravamo venuti a ritrovare placava le rabbie giovanili, stimoli necessari per farci comporre.

Sono curioso di chiedervi come ha vissuto la quarantena e la distanza una band composta da cinque elementi. Eravate indipendenti e vi sentivate di tanto in tanto, quando vi venivano degli spunti buoni, o il confronto era costante, praticamente quotidiano?

A: Quello che avevamo scritto l’avevamo messo a punto prima del lockdown e i confronti che dovevamo avere tra di noi li avevamo già avuti prima. E per fortuna, altrimenti probabilmente sarebbe stato un disastro!

J: Sì, in quarantena abbiamo solo fatto un paio di video che abbiamo pubblicato sui social. Per avere una resa ottimale ognuno registrava la propria parte e montava il suo video con il telefono. Dopodiché li univamo sincronizzandoli. In diretta sarebbe venuto uno schifo a causa della connessione, dei ritardi audio…

Abbiamo quindi registrato due mini-live: uno di “Psicosociale”, che era appena uscita, e uno di “Monnalisa”, una cover di Ivan Graziani.

Per i vostri pezzi state collaborando con Massimo Palmirotta, un produttore con tanta esperienza alle spalle. Quanto è importante per la direzione artistica del vostro progetto?

J: Ci ha aiutato molto perché è una persona esterna alla band che ha saputo attualizzare le nostre canzoni, innovandole dal punto di vista sonoro e tagliando molte parti che non contribuivano ad arricchirle. Ci ha aiutato a capire cosa vuole l’ascoltatore del genere.

A: Un’altra cosa di cui ha il merito è che da esterno riesce a cogliere le costanti dei pezzi e a sfruttarle a nostro vantaggio. Riesce a prendere gli elementi in comune e ci aiuta a riproporli, in modo da costruire la grammatica della band, quella coerenza artistica che internamente magari non riusciremmo a cogliere.

J: Lui conosce la nostra personalità musicale e si ricorda sempre di riproporla. In modo nuovo ma costante. La riconoscibilità è fondamentale. E queste prime canzoni sono un’introduzione, le fondamenta per costruire tutto il resto.

Quando sentii per la prima volta “Psicosociale”, nell’inverno del 2018, ricordo di essere stato subito rimandato al filone degli Afterhours. Negli anni i vostri punti di riferimento sono rimasti quelli o sono cambiati con la vostra crescita artistica?

A: Sicuramente i riferimenti artistici cambiano nel tempo, per tutti. Te ne rendi conto quando il tuo gruppo preferito pubblica un nuovo album e tu, ascoltandolo, pensi: «Cos’è ‘sta roba qui? Non c’entra nulla!». Lì capisci che effettivamente l’artista è un essere umano come te e cambia i suoi gusti musicali ogni anno, ogni mese…

Anche io guardandomi indietro vedo dei riferimenti che sono cambiati, pur conservando dei punti fermi. Per quanto riguarda l’inizio dei Rogoredo FS ti do ragione: l’ispirazione di base, la band che mi ha convinto della possibilità di scrivere rock in italiano sono stati gli Afterhours.

E adesso cosa state ascoltando? Avete qualche fissa?

J: Io ho riscoperto i Verdena! Non li avevo mai ascoltati troppo, come forse nessuno di noi se non Nicholas (il chitarrista, ndr). Però mi sto rivedendo un sacco in loro nelle nuove canzoni che stiamo scrivendo, e questo mi fa pensare che stiamo andando nella giusta direzione.

A: Io, per colpa della quarantena, che mi ha reso un po’ più docile, sono andato tanto sul cantautorato acustico. Ho mantenuto la mia passione per l’italiano e continuo ad ascoltare qualsiasi cosa esista di Lucio Dalla, con l’intento di carpirne la scrittura e le idee, che erano di un livello fuori misura, completamente diverse da qualsiasi altro cantautore italiano. E non era arrabbiato! Quindi potrebbe essere uno spunto utile anche per risolvere la mia situazione. (ride, ndr)

Da molti anni, ormai più di dieci, il rock trova poco spazio nel mainstream, in Italia ma non solo. Tuttavia, in particolare negli ambienti live e magari anche nell’underground, è un genere che non muore mai. Volevo chiedervi a vostro parere quale sia lo stato di salute del rock in questo momento.

J: Hai detto bene, il rock non può morire, perché porta cose che gli altri generi non possono portare: fa pensare, dà la carica ai concerti, è fatto di canzoni che rimangono… Se tu pensi a una canzone che ti ha cambiato la vita, è difficile che ti venga in mente una canzone rap, o trap! Puoi menzionare una canzone dei Beatles, dei Pink Floyd, dei Led Zeppelin… Quelle sì che sono fatte da Dio! E questa cosa è immortale, ci sarà sempre qualcuno che ha bisogno del rock.

A: Poi all’estero il genere sta bene: in Inghilterra e negli Stati Uniti non hanno di questi problemi. Il rock italiano è un po’ più in crisi, anche se penso sia l’unica contromisura alla banalità. Per quanto possa essere originale il debutto di un nuovo singolo R&B o trap, avrà sempre degli elementi che sono copiati e incollati da quello di fianco, da quello che ha già un po’ di successo.

Invece, nell’alternative-rock italiano, quello un po’ più vicino al nostro, ci sono molte più manifestazioni di originalità. Per quanto possano essere disturbanti o non pienamente convincenti, si cerca di innovarsi sempre. Nonostante ciò, è sicuramente un fenomeno che in questo momento non trova spazio sui grandi palchi.

E voi riuscirete a fare qualche concerto quest’estate?

J: Dobbiamo ancora organizzarci. Per ora di concerti se ne sono visti pochi… ma non ce lo precludiamo, anzi! Sarebbe molto bello.

A: Magari con un set acustico potrà essere più semplice!

E le prossime uscite?

J: Dobbiamo ancora decidere quanto pubblicare ancora prima di lanciare un progetto più grande. Ci sono un altro paio di singoli già pronti, ma per tempi e modalità siamo in fase di valutazione.

A: È il più grosso dubbio amletico del momento!

Aspetteremo, e intanto che sbrigliate i vostri dubbi amletici noi ci godiamo “Mercanti”, che merita tanti tanti ascolti. Per restare.

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