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Venerdì 8 settembre ‘La Medea di Portamedina’ al Maschio Angioino di Napoli

Era il settembre dell’anno 1882, quando la casa editrice Gennaro Salvati pubblicò la prima edizione de La Medea di Portamedina di Francesco Mastriani, e, secondo alcune indicazioni dell’epoca, risalirebbe al giorno 8. Per un imperscrutabile disegno della sorte, 135 anni dopo, la data per la messa in scena al Maschio Angioino di Napoli dello spettacolo, tratto dal romanzo di Mastriani, è programmata proprio venerdì 8 settembre 2017 alle ore 21.00, con la drammaturgia e la regia di Annamaria Russo.

Presentato da Il Pozzo e il Pendolo in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, l’allestimento, interpretato da Rosaria De Cicco, Marianita Carfora, Giuseppe Gavazzi, Peppe Romano, Alfredo Mundo, Gennaro Monti, Sonia De Rosa, Paolo Rivera, con la partecipazione di Rita Ingegno, Federica Grosso e Marco Amodeo, si avvale del disegno luci a cura di Sebastiano Cautiero, i costumi di Annalisa Ciaramella.

“Nello scenario più suggestivo che potevamo sperare – sottolinea Annamaria Russo – all’ombra delle torri del maniero più bello di Napoli, la storia di Coletta Esposito, scivola fuori dalle pagine di quella antica edizione e prende vita sulle assi di legno di un palco a forma di ruota. La ruota dell’Annunziata, la ruota della vita, la ruota della sorte che girando, fatalmente si ferma nel, probabile, stesso giorno di 135 anni fa”.

Siamo al 19 maggio 1793, Coletta Esposito, una giovane popolana di via Portamedina, uccide la figlia di pochi mesi e getta il corpicino esanime sul sagrato della chiesa, dove si stanno celebrando le nozze dell’uomo che aveva promesso di sposare lei e non quella donna vestita di bianco che stringe sottobraccio.

La donna, poco più che ventenne, assurge agli onori della cronaca per il suo terribile delitto, che richiama alla tragedia greca. La popolana dal nome oscuro sarà ribattezzata la Medea di Portamedina, e, in quel soprannome, la banalità del male acquista un accento epico. Coletta Esposito, nell’immaginario del popolo napoletano, cessa di essere una donna per trasformarsi in una fiera snaturata. Non possono esserci comprensione e compassione per un delitto che rappresenta un insulto all’amor materno.

Calpestare il più sacro e intoccabile dei sentimenti, imponeva  una condanna esemplare: non  solo lo “strascinamento” e la decapitazione, ma l’ignominia nei secoli dei secoli.

E’ dalla riprovazione collettiva, dall’indignazione che cancella la pietà, che ha preso vita quest’allestimento. La scrittura teatrale della tragedia di Portamedina nasce come reazione a una domanda urticante: quante donne sottoposte allo strazio di una vita, fatta di tribolazioni inimmaginabili, avrebbero potuto trasformarsi in altrettante Medee?

La messinscena di Annamaria Russo non tenta di dare risposte. Non esistono risposte per la disperazione che nasce dal sangue e si nutre di sangue, ma esistono solo domande dolorose, strazianti, che restano sospese sulla soglia dell’orrore e della compassione.

Nicola Maiello: